Un gatto che si accuccia vicino ai piedi del padrone e comincia a vibrare: una scena domestica che molti riconoscono come segno di contentezza. La stessa sequenza di suoni, però, appare anche su un tavolo di visita in clinica o nella cuccia di un cucciolo appena nato. Quel rumore regolare non è mai stato solo un “ronfare”: è un codice comunicativo che porta informazioni sulla salute, sul bisogno e sull’emotività del felino. Chi convive con un gatto lo nota ogni giorno, ma solo negli ultimi anni la ricerca ha messo ordine in questo linguaggio.
Il meccanismo e le prime fusa
Le fusa non nascono soltanto dalle corde vocali: sono il frutto di un circuito tra cervello e laringe che lavora con ritmo costante. Un oscillatore neurale invia impulsi al nervo laringeo ricorrente, che provoca contrazioni muscolari a una frequenza che può raggiungere le 25 volte al secondo. Ne deriva una vibrazione continua, percepita come calma ma in realtà generata da un meccanismo fisiologico sofisticato. Questo sistema può restare attivo per periodi lunghi senza affaticare l’animale, una caratteristica che spiega la persistenza del suono in molte situazioni.

I gattini iniziano a farsi sentire già pochi giorni dopo la nascita: ciechi e sordi, usano le vibrazioni materne come guida e sicurezza. La risposta dei cuccioli è fatta di vibrazioni più che di vocalizzazioni vere e proprie, un primo linguaggio che regola contatto e alimentazione. Un dettaglio che molti sottovalutano è proprio la centralità di queste prime fusa nella relazione madre-figlio.
Tra le modalità adattative emerse, lo “purr solicitation” studiato da Karen McComb mostra quanto i gatti abbiano modulato le fusa per comunicare con gli umani. In queste emissioni compare una nota acuta, simile al pianto infantile, pensata per attivare la risposta di cura nel proprietario. È un esempio limpido di come il comportamento felino si sia tarato sulle abitudini umane.
Fusa come terapia e autoguarigione
La ricerca in bioacustica ha portato a osservazioni concrete sulle proprietà fisiche delle fusa. Studi condotti da ricercatori come Elizabeth von Muggenthaler indicano che le frequenze prodotte dai gatti, tra 25 e 150 Hz, si sovrappongono a quelle utilizzate in terapie di rigenerazione ossea e muscolare. Non c’è ancora una prova causale netta, ma il fatto che i felini possano mantenere queste vibrazioni per lungo tempo senza perdita evidente di massa muscolare o ossea alimenta l’ipotesi di un effetto fisiologico positivo.
Alla stessa stregua, è noto che nelle cliniche veterinarie i gatti fanno le fusa anche quando sono malati o feriti. Qui entra in gioco l’ipotesi dell’autoconsolazione: la vibrazione stimola il rilascio di endorfine e serotonina, sostanze che riducono stress e dolore. Questo non significa che le fusa siano sempre sinonimo di benessere; al contrario, a volte esprimono vulnerabilità.
Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è la frequenza delle fusa nelle situazioni di disagio: nei gatti anziani o debilitati si registra una pratica di fuseggiare prolungata, probabilmente finalizzata a modulare il dolore e a cercare stabilità fisica. I veterinari e gli esperti di comportamento animale considerano questi segnali quando valutano il benessere complessivo del paziente.
Effetti su chi sta vicino e le fusa terminali
Le fusa non influenzano soltanto il gatto: impattano anche chi gli vive accanto. Ricerche come quelle dello Stroke Center dell’Università del Minnesota mostrano un’associazione tra convivenza con gatti e una minore incidenza di problemi cardiovascolari. Non è dimostrato che il merito sia esclusivamente delle fusa, ma è chiaro che il suono ha un effetto sul sistema nervoso umano.
Accarezzare un gatto che ronfa favorisce il rilascio di ossitocina, riduce il livello di cortisolo e abbassa la tensione muscolare: si tratta di risposte misurabili che coinvolgono anche la corteccia prefrontale, area legata alla regolazione emotiva. Per questo motivo i gatti sono impiegati sempre più spesso in contesti di supporto emotivo, inclusi nuclei familiari con persone neurodivergenti o ambienti clinici di sollievo.
Al tempo stesso esiste la categoria delle cosiddette fusa terminali, un comportamento osservato nelle ultime ore di vita del felino. Contrariamente a letture consolatorie, questi fuseggiamenti sono in genere segnali di grave disagio: un tentativo di autocalmarsi in presenza di dolore o confusione. Gli specialisti di assistenza palliativa per animali raccomandano in questi casi conforto, vicinanza e routine familiari, oltre a un luogo sicuro.
Ascoltare le fusa significa leggere un mix di bisogno, fisiologia e relazione: un linguaggio vivo che, in molte famiglie in Italia e altrove, continua a guidare cure e attenzioni quotidiane.
