Cani a rischio: i pericoli nascosti di uva e uvetta, effetti e sintomi da non ignorare mai

Cani a rischio: i pericoli nascosti di uva e uvetta, effetti e sintomi da non ignorare mai

Marco Ferrero

Novembre 30, 2025

Una manciata d’acini lasciata sul tavolo può trasformarsi in un’emergenza per chi ha un cane in casa. Non si tratta di superstizione: ogni anno i veterinari registrano casi in cui l’ingestione di frutti apparentemente innocui provoca problemi seri, fino all’alterazione della funzione renale. Sul campo, la scena è sempre la stessa: il proprietario scopre il sacchetto vuoto, il cane sembra stabile, eppure poche ore dopo compaiono i primi segnali. Questo articolo spiega cosa sappiamo e come riconoscere i segnali più importanti.

Perché l’uva e l’uvetta possono danneggiare i reni

Da anni la comunità veterinaria cerca di capire il motivo per cui alcuni cani tollerano quantità anche elevate di uva senza problemi, mentre altri sviluppano una grave insufficienza renale acuta dopo pochi acini. Gli studi più recenti indicano come sospetto principale l’azione dell’acido tartarico, un composto organico presente nel frutto. In particolare, ricerche pubblicate negli ultimi anni hanno messo in evidenza una tossicità diretta di questo acido sulle cellule del tubulo renale.

Cani a rischio: i pericoli nascosti di uva e uvetta, effetti e sintomi da non ignorare mai
Cani a rischio: i pericoli nascosti di uva e uvetta, effetti e sintomi da non ignorare mai – royalpet.it

La variabilità del rischio si collega anche alla concentrazione di acido nel frutto: valori rilevati si attestano mediamente tra 0,35% e 2%, una forbice ampia che rende difficile prevedere l’esito clinico di un’avvelenamento. Un dettaglio che molti sottovalutano è proprio questa variabilità chimica tra varietà d’uva e metodi di conservazione, elemento che complica le stime di sicurezza.

Per avere un’idea pratica, nella letteratura veterinaria sono riportati dosaggi minimi associati a danno renale: intorno a 12–19 grammi/kg per l’uva fresca e circa 2,8 grammi/kg per l’uvetta. Questi numeri non sono limiti assoluti, ma parametri utili per valutare il rischio. Nei gatti e nei furetti le segnalazioni rimangono per lo più aneddotiche; al momento non esistono studi approfonditi su queste specie, per cui la prudenza è consigliata anche con loro.

Come riconoscere i sintomi e cosa osservare

I primi segnali clinici nell’avvelenamento da uva, uvetta o frutti del tamarindo sono spesso di tipo gastroenterico. Il vomito si manifesta solitamente entro 6–12 ore dall’ingestione, conseguenza dell’irritazione gastrica dovuta all’acido tartarico. A seguire possono comparire dolore addominale, diarrea e anoressia, sintomi che spingono molti proprietari a rivolgersi al veterinario.

Tra le 24 e le 72 ore può emergere un quadro più serio: si osserva allora un progressivo peggioramento della funzione renale con aumento della sete (polidipsia), diminuzione della produzione di urina (oliguria) e rialzo delle concentrazioni sieriche di creatinina e azoto ureico. Questo quadro corrisponde al danno renale acuto descritto negli studi istopatologici, caratterizzato da degenerazione e necrosi tubulare, soprattutto a carico del comparto prossimale.

Un aspetto che sfugge a chi vive in città è che le manifestazioni neurologiche — letargia, tremori, convulsioni e atassia — possono comparire e sono probabilmente secondarie alla compromissione cerebrale legata all’intossicazione. In presenza di sospetta ingestione è importante comunicare al veterinario la quantità e il tipo di frutto ingerito: anche una piccola porzione può essere significativa. Chi osserva questi segni dovrebbe contattare tempestivamente un professionista; la tempestività degli esami e delle terapie può fare la differenza. Un dettaglio realistico: molti casi gravi iniziano con un banale episodio di vomito, una porta di accesso che permette al medico di intervenire prima che il quadro renale si complichi.

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